Alcune righe, come di consuetudine, per non lasciar smarrire nel nulla e perdersi nel mare indistinto del nostro vissuto un’esperienza importante come quella dell’incontro con la “Comunità Le Orme” di sabato 22 aprile 2025. Un’esperienza forte per tutte le comunità Masci della zona per due motivi: per la possibilità di incontrarci ancora una volta tra di noi, fratelli e sorelle scout, anche se di una certa età e, secondo, per la possibilità di vivere un momento formativo-spirituale. Siamo nel tempo della Quaresima dell’anno Santo, nel Giubileo della Speranza. Qualcuno ha detto a don Paolo che ci ha chiesto il motivo per cui eravamo là che siamo saliti a Fittà per poter cercare e vedere delle “luci di speranza”. Viviamo questo anno santo alla ricerca di Speranza. Riconosciamo di essere instancabili viandanti convinti che il futuro che ci sta davanti non sia tutto male e negatività. Siamo animati dalla Speranza, che è più forte e può vincere ogni angoscia. È per sentire il sapore di questa speranza che ci da’ forza che abbiamo bisogno di trovarci, di vivere esperienze come quelle di sabato.

Il sabato pomeriggio a Fittà. Il tempo meteorologico non ci è stato molto di aiuto. Avessimo vissuto queste ore il giorno seguente avremmo avuto la possibilità di goderci un bellissimo paesaggio, di immergerci nei campi di viti di Soave, ci saremmo goduti un bel panorama. Avremmo potuto stare all’aperto e visitare la Cascina Alba Terra e le varie realtà che fanno parte della comunità Le Orme. Eppure sappiamo che nulla succede per caso. Anche le apparenti contrarietà possono essere vissute all’insegna dell’opportunità. “Non esiste buono o cattivo tempo …” Esser stati costretti dal mal tempo a rimanere rinchiusi tutte quelle ore in chiesa non è stato il massimo. Eppure questo “disagio” meteorologico ci ha forse aiutato a concentrarci di più sul nucleo della vita della comunità che abbiamo incontrato. La pioggia aiuta ad evocare e a riflettere, a lasciarsi andare a racconti e condivisione. Il mal tempo, costringendoci a stare fianco a fianco, può aiutarci ad ascoltare di più l’altro, a dargli più tempo. Abbiamo ascoltato a lungo, con attenzione e ammirazione, don Paolo e, dopo di lui, alcuni dei “ragazzi” che vivono in comunità. E’ rimasta in sospeso, forse, la parte più pratica, del vedere di persona quello che stanno facendo. Potremo fare questo un’altra volta.

Alcune suggestioni sulle parole di don Paolo. Come premessa possiamo dire che non tutti hanno gli stessi doni. Lo Spirito Santo è Spirito di fantasia: suscita e sparge i suoi doni in maniera differente e originale a seconda delle personalità e delle storie di ciascuno. Detto questo, però, dobbiamo dire che ogni dono ha senso perché è disposizione di tutti, serve a tutto il corpo. Un dono non è dato per la promozione o la gratificazione personale del singolo che lo riceve ma perché tutti possano averne beneficio. La mano non può essere il piede e il piede non può essere la testa, ci ricorda San Paolo, ma ogni organo funziona se agisce in armonia con gli altri. Non siamo chiamati a fare tutti ogni cosa, sentendoci magari per questo un po’ inadeguati e inadempienti, ma a conoscere e ad apprezzare ciò che altri hanno fatto e stanno facendo. Ogni realtà che c’è esiste per il bene e l’arricchimento di tutti.

L’esperienza dell’accoglienza vissuta dalla comunità Le orme è nata in un preciso territorio, Soave, e in questo territorio è cresciuta e ha realizzato attività e modalità di sostentamento. Si accoglie uno per quello che è, non in astratto, e poi lo sia aiuta a fare un percorso per trovare il proprio posto nella vita e nella società. La comunità non è frutto di progetti, semmai i progetti sono venuti dopo gli innumerevoli accadimenti della vita. Prima viene la persona, con la sua originalità e imprevedibilità, e poi viene la delineazione di un itinerario e l’assunzione di impegni e responsabilità. Il progetto è la conseguenza di una immersione nella vita. E’ la vita, con tutte le sue contraddizioni e difficoltà, che ci precede e sorprende. I progetti servono non a imbrigliare la vita, che è infinita fonte di sorprese e sempre imprevedibile, ma ad aiutarla a trovare un certo “ordine” perché nulla vada perduto di quello che si vive. Un progetto è sforzo di mettere in rete, a disposizione di tutti, esperienze umane e di fede incommensurabili.

L’accoglienza accade nel momento presente, non può essere programmata. Non è parola astratta, ma ha il volto concreto del fratello che ci sbarra la strada o che ci passa di fianco. Sabato pomeriggio abbiamo avuto un assaggio di questo. Abbiamo incontrato persone (giovani) che ci hanno raccontato come sono stati rifiutati e poi accolti. Di “casi”, di storie come quelle di sabato ne conosciamo tanti. Caio, le ragazze brasiliane, Cosimo … e altri ancora. Altri che non si sono raccontati. Sabato abbiamo ascoltato chi ha avuto il coraggio e la generosità di raccontarsi, di mettere in piazza la propria vita. Inutile dire quanto siamo grati a tutti loro per averlo fatto.

Non esiste mai una storia di totale negatività, di totale perdizione. Ci hanno parlato che bisogna toccare il fondo per poter risalire. Solo che non sappiamo bene quando si è raggiunto questo fondo. Sappiamo che è possibile rialzarsi ogni volta da ogni piccola o grande caduta. Sempre! E questo può avvenire soprattutto se abbiamo la grazia di trovare una comunità, qualcuno che ci tenda la mano. La comunità è l’insieme di persone ferite che hanno saputo rialzarsi. Di solito chi è ferito lo è per aver vissuto relazioni sbagliate con gli altri. La comunità è un modo per fargli vedere l’altro con occhi nuovi.

Vorrei ringraziare don Luigi per aver avuto la bella idea di farci vivere queste ore assieme a don Paolo e ai suoi ragazzi.

Ultima sottolineatura. Siamo vecchi scout (Masci) che trovano ancora gioia e gusto ad ascoltare e ad imparare da chi è più giovane di noi. Non siamo ancora al capolinea. Da tempo ascoltiamo la parola GENERATIVITA’, che è la possibilità di far germogliare sempre e di nuovo la vita. Lo possiamo fare noi anche accompagnando altri, mettendoci a disposizione. Essere generativi significa non stare in panchina, in quiescenza, a riposo. Abbiamo ancora il futuro davanti a noi. E il futuro ha il volto di questi e di altri giovani che lo stanno costruendo. Noi li possiamo accompagnare con il nostro sostegno e il nostro supporto.

Stefano Costa