Se si vuole realmente fare coeducazione non è sufficiente mettere insieme uomo e donna, ma si deve favorire una precisa presa di coscienza di ciascuno nel suo specifico, nella sua identità particolare: e quindi che la donna cerchi di sviluppare la sua femminilità e l’uomo la sua mascolinità. Se è difficile oggi descrivere in che cosa consiste la femminilità e la mascolinità, e se giustamente dobbiamo stare attenti a non ripetere in modo acritico i «ruoli» della cultura passata, dobbiamo anche non cadere nell’errore opposto e negare ogni diversità e ogni specificità. La diarchia ha questo compito: nel cammino educativo che viene proposto, il Capo e la Capo insieme e ciascuno nella propria caratteristica propongono un modello, una realtà vissuta sia singolarmente che nel loro lavoro comune. Diarchia diventa allora sinonimo di rispetto, di attenzione, di collaborazione dove l’elemento proprio di ciascuno trova il suo spazio e genera un insieme armonico e vitale. Perché sia così, è necessario allora che i due abbiano una chiara coscienza di sé e nessuna inibizione, nessuna paura nel realizzare se stessi come donna e come uomo, e altresì una armonia di relazione dove ciascuno possa esprimersi in tutta libertà. doti e a metterle a servizio della associazione mista. Forse è un rapporto da inventare e da imparare, perché ciascuno si porta addosso il peso di tradizioni antiche: ma è certo che si deve fare ogni sforzo per non imporre a nessuno un ruolo prefissato: il Capo è sorridente e la Capo è decisa, o viceversa secondo i casi
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